L'alpinismo come necessità nasce lontano nel tempo, anche prima dei romani, ma come concetto ha origine intorno al 1700 anche per merito dell'illuminismo, che tramutò le montagne in luogo di ricerca scientifica: da qui il passaggio ad attività ludica individuale fu breve.
L'arrampicata invece è una disciplina più giovane approdata in Europa intorno agli anni '70 quando dalla California giunse notizia dell’arrampicata libera. In quegli stessi anni lo scozzese Mike Kosterlitz compiva uno dei suoi capolavori superando in arrampicata libera lo strapiombo centrale della via dei tetti a Zeta sulla parete est della Rocca Provenzale (CN) e da quel momento la storia delle ascese si tramutò.
In questo quadro di nascite la cima del Gran Paradiso venne conquistata il 4 settembre 1860 da alcuni alpinisti inglesi e più di 100 anni dopo la valle Orco diventava il terreno di gioco preferito di un gruppo di arrampicatori fautori di un rinnovamento culturale che contribuì a dare un nuovo slancio al mondo alpinistico ponendo le basi per la nascita dell'arrampicata libera: il Nuovo Mattino. Gian Piero Motti, Alessandro Gogna e Andrea Gobetti hanno contribuito con i loro scritti a costruire mito e leggenda dei luoghi del Gran Paradiso e poi ci sono Gian Carlo Grassi, Ugo Manera, Gabriele Beuchod, Marco Bernardi, Manlio Motto e di quanti altri ancora si dovrebbe parlare! Lo stesso Kosterlitz, il cui nome a Ceresole Reale è legato all'omonimo masso, così parla del Gran Paradiso: “Era incredibile, semplicemente incredibile. C’era quella successione continua di pareti di granito, una più bella e più grande dell‘altra, dove era ancora tutto da fare, tutto. Era come scoprire una Yosemite dietro la porta di casa. Per me abituato alle piccole pareti del Galles e del Derbyshire, sfruttate fino all’ultimo appiglio, era un paradiso in terra. C’era più roccia vergine sul solo Caporal che in tutta Snowdonia. Dovevamo solo decidere dove andare, era assolutamente incredibile che ci fossero ancora posti così”.
fonte: intervista di Gianni Battimelli a Mike Kosterlitz 28/01/2011
Il mito californiano degli anni '70 era la parete di El Capitan, una roccia granitica di 900 metri situata all’interno del Parco Nazionale di Yosemite Valley in California. Il Sergent, appena sopra Noasca in Valle Orco da' luogo alla piccola California italiana. La località non è casuale perchè il territorio del Parco Nazionale Gran Paradiso, per sua genesi, ha contribuito a creare uno stile di arrampicata quasi unico sulle Alpi e molto affine ai grandiosi Stati Uniti.
Negli anni ’90 inizia un periodo moderno con l’affermarsi dell’arrampicata sportiva e di conseguenza con la nascita di itinerari di elevata difficoltà protetti a spit (dall'inglese, letteralmente "sputo" per via delle piccole dimensioni di questo tassello).
Dopo l’affermarsi dell’arrampicata libera estrema fino all’inizio degli anni duemila, si ha un ritorno al tradizionale applicando un’etica più radicale, in linea con il modello anglosassone: pochi chiodi e niente spit, ma solo protezioni mobili. Anche l'arrampicata non vuole lasciare segni ma anche semplici gesti possono causare disturbo.
Foto: Davide Grimoldi